venerdì 11 febbraio 2011

Bob Corn - The Watermelon Dream (Fool Tribe - 2011)



Un concerto di Bob Corn in Olanda



Quando chiudo gli occhi e ascolto Tizio (Bob Corn) lo immagino nel giardino di casa sua, a San Martino Spino, al confine della provincia. Lo immagino con la sua chitarra acustica sul prato, vicino a un pioppo cipressino, lungo un canale. Quando ascolto Tizio vedo la campagna più inoltrata e sperduta della bassa modenese, dove "modenese" non significa già più nulla. Lo immagino pizzicare le corde piano piano, mentre gli abitanti del paese che passano in bicicletta lo guardano un po' male, come si guardano gli artisti pazzi.
Ma Tizio non è pazzo, ha solamente deciso di fare musica al confine del "mondo", ha solo deciso di non usare internet per collegarsi al resto del pianeta, ha solo deciso di dedicarsi alla sua musica e alla sua Fool Tribe con il semplice ausilio della sua amicizia, con le relazioni personali, con la parola detta piuttosto che quella digitata: "preferisco spendere 50 euro in benzina piuttosto che in pubblicità" disse in un'intervista.

Ora che ci penso meglio questo disco va ben oltre alla semplice campagna della bassa. Ora che ci penso bene per Bob Corn questa terra è solo un punto di partenza e un punto di ritorno, in mezzo ci sono lunghi viaggi in giro per il mondo. Forse questo, più che essere un disco della bassa è un disco che appartiene al moto altalenante dei treni.

La segreta ricetta del disco è: musiche dolci, silenziose, piccole, da appoggiare sul comodino, cantate sottovoce per non svegliare nessuno. La formula è un po' simile a quella degli altri dischi precedenti e questo mi conforta: almeno su qualcuno posso sempre contare. Ogni disco sembra la prosecuzione di quello precedente anche se The watermelon dream sembra un piccolo (e voluto) passo indietro rispetto a We don't need the outside, così vario e così "elaborato".

Non vedo l'ora di andare a vederlo dal vivo, chiudere gli occhi mentre li chiude lui, entrare dentro al suo mondo come ci entra lui, avere i suoi tic musicali, cadere in quella specie di trance in cui cade lui, in cui musica, ritmo, parole, atmosfera parlano la stessa lingua, dicono tutte la stessa cosa e alla testa non rimane che annuire ritmicamente. Su e giù, di qua e di là. E noi facciamo "shhh" per cercare di capire cosa sta sussurrando.


01 You the rainbow
02 Lost and found
03 August rains rhymes
04 Breathless song
05 Love turn around (don't look back)
06 Just the garden
07 Call me my name

mercoledì 9 febbraio 2011

Siamo sul sito de La Stampa!


"Lo strano caso Dino Fumeretto" è il titolo dell'articolo di Andrea Scanza di lastampa.it
Verso la fine dell'articolo è citato anche Te Suoni Male! come esempio di blog "esegeta" che difende il buon Billoni e il suo tragico sarcasmo. Grazie Andrea Scanzi e grazie a Pelo per la segnalazione!

giovedì 3 febbraio 2011

Kheyre - Pecore nere (2009)

Questa recensione è stata scritta per MUMBLE:, il giovane mensile modenese letto un po' in tutta la regione.

È la giusta punizione che riceviamo per colpa dei nostri avi. Poveri illusi! Come hanno potuto pensare di detronare Dio con una stupidissima torre? Di là il Signore, irato, confuse i nostri generi musicali che un tempo erano uno e ora sono mille. È colpa loro se oggi siamo arrivati all’abominio del crunk o della goa. Ma è forse grazie a quel truffatore di un prometeo biblico che oggi ci possiamo ascoltare Kheyre. Se devo essere sincero, in passato non l’avevo mai ascoltato attentamente, pensavo fosse un po’ troppo simile alle atmosfere di Capossela. Un po’ come quando mi spacciarono per rivelazione i Cappello a cilindro. Ma dopo il crollo della sua Babele, avvenuto nel 2009, il cantautore fece uscire un disco che mi stupì e non poco: “Pecore nere”. Qui Kheyre esce finalmente dal piccolo bar di provincia che lo teneva prigioniero e decide di perdersi per le vie del mondo. La totale mancanza di coerenza musicale tra un pezzo e l’altro di “Pecore nere” è in definitiva la grande coerenza del disco e il suo punto di forza maggiore. Inutile sarebbe fare l’elenco dei generi musicali toccati durante il disco: crossover alla RATM, rap, cadenze reggae, campionamenti elettronici, atmosfere cantautoriali, passaggi new age lennoniani e non so cos’altro. I personaggi descritti in questo disco sono tutte pecore nere, ultime ruote del carro, bastardi incastrati in un polistilismo inevitabile del XXI secolo.
Non proprio come gli esemplari che ci circondano, pecorelle bianche pronte a farsi tosare. Per tutti noi sarebbe davvero ora di salire su quella “Macchina sotterranea” cantata da K, sarebbe ora di farci accompagnare sotto la città dove non si vede la superficie patinata delle cose ma solo le radici. O se preferite dovremmo andare con lui su in soffitta tra i gesùbambini, i botti di capodanno e le pantegane. Insomma Kheyre, portaci dove ti pare, basta che sia nel mondo, lontano dalla provincia, lontano almeno quanto lo è il tuo disco.

01 Maledetti
02 La macchina sotterranea
03 La soffitta
04 IL pozzo delle chiocciole
05 Cane randagio
06 Nel buio sotto le luci
07 Calde pietre
08 Lamenti di pecore nere
09 Pecore nere
10 La selvaggia
11 Fuoco
12 Mamma è un brutto mondo

martedì 1 febbraio 2011

Sara Greg - Demo (2010)



Ambient Kraftwerk Kraut Industrial eccetera eccetera. Non è che abbia proprio le competenze necessarie per parlare di musica elettronica. Tantomeno di sperimentazioni all’interno della musica elettronica. Il disco dei Sara Greg merita parole, ma le parole in questo caso sono anche pseudo-autobiografia. Iniziamo. Ho ascoltato il Demo lo stesso giorno in cui ascoltai per la prima volta Low di David Bowie: fine settanta, Berlino. Sarà che si fa presto ad impressionarsi, saranno i synth atmosferizzati alla Brian Eno, sarà che so che la band a Berlino c’è stata: ZenZero mi ha portato subito in quel mondo. Le solite coincidenze. Sia chiaro: nei Sara Greg non c’è la chitarra di Ricky Gardiner, non ci sono i riff curatissimi di quel disco, tantomeno gli arrangiamenti. Sto parlando di odori e di colori, di quelle atmosfere cupe e decadenti assieme che vengono così, non per scelta. C’è l’Inghilterra dei Radiohead in Clouds in, pezzo abbondantemente sotto i due minuti come altri nel disco: Errore, toccata e fuga; Bagno, la vasca con le bolle di sapone; È ora, che ritorna alle ombre di Low. E poi Animale, un altro pezzo strumentale, i tamburi e il rullante dubbeggiante che portano dritto ai Primal Scream di Trainspotting: uno di quei momenti di lucidità che arrivano per forza quando la notte brava sta passando.
Da Berlino all’America a Pj Harvey, altra fonte di ispirazione certa del gruppo: insieme alla cover di C’mon Billy, Trauma demons è il brano più in questo senso, ed è anche uno dei pochi cantati. Ma cosa sono questi demoni del trauma? Ce lo dice uno dei pezzi forti del disco, Ypno, appena i sintetizzatori sembrano calmarsi: “creature che di giorno non vedo, incrociano la mia strada e diffondono la loro energia, buona o cattiva, senza avermelo chiesto”. Siamo ipnotizzati, siamo davanti al dottore. E i demoni creano buchi nella nostra memoria “attivando energie che alimentiamo con le nostre paure. E crescono e crescono”. Esplorazioni nelle stanze della mente: come quando si entra nella testa di un Alchimista e i tasti dello xilofono sono gocce che cascano nelle fiale, sono miscugli e pozioni e si vede una luce nella stanza: l’esperimento è andato bene.

Info qui: http://www.myspace.com/saragreg

Tracklist
1. ZenZero
2. Il prete
3. Il canale
4. Alchimista
5. Animale
6. Spiccioli
7. Bagno
8. Clouds in
9. Ypno
10. C’mon Billy
11. Trauma demons
12. Errore
13. E’ ora
14. Stagione2
15. Human