sabato 31 luglio 2010

VESTITI BENE, VESTITI MALE: SEVENTEEN (The Gift - La devi esplodere Ep, 2003)

ho la copia numerata 185/300, il cd è originale ma ha smesso di funzionare da un po’. adesso va solo sul computer. anzi no, non va neanche lì. però mi ricordo bene qualche pezzo, e mi ricordo quando sighi, il cantante, me lo diede per cinque euro dopo un contest all’oasis. era il 2003, diciassette anni e si ascoltava tutto quello che sembrava grunge, perché i nirvana erano tornati di moda grazie ai nuovi inediti che saltavano fuori dal nulla. erano già un gruppo di culto i gift, dei piccoli idoli punk al liceo di sassuolo, almeno per quelli che tenevano i capelli lunghi e le sciarpe da mercato dell’usato. all’assemblea di istituto avevano fatto anche cover degli afterhours, sui giovani d’oggi ci scatarro su, e alla fine il cantante urlava sassolesi di merda o fighetti di merda e cose simili. praticamente era oro per le nostre orecchie, e tutti quei cuori arrabbiati che giocavano ad essere incompresi, e forse un po’ lo erano davvero. il cantante s’era appena diplomato, già pelato, davvero un pesce fuori dall’acqua in quel palco che non era un palco ma una palestra. invece il chitarrista sembrava molto tranquillo, e la cosa era esteticamente molto apprezzabile. distorsioni a bestia, tamburi che rimbombavano sui muri e aumentavano le divisioni tra i vestiti bene e i vestiti male. quella mattina vincevano i secondi, il papa era uscito dal palazzo e benediva. e la copia numerata 185/300? non gira più davvero, soprattutto al brano numero sei, in morte del bianconiglio. che pezzo. qualità audio non il massimo (scusa cecc), chitarre molto garage, un crescendo continuo verso l’assolo finale appena prima di nel paese delle meraviglie già si cerca il successore questa volta sarà un porco oppure un ratto. per il resto molta violenza, anche troppa. però nel 2003 serviva, e ci stava molto bene.

Tracklist:
01 Introduzione
02 La devi esplodere
03 Nonelafuoricheiostobene
04 Non riesco a scopare
05 Da satellite
06 In morte del bianconiglio
07 L'arabo

domenica 25 luglio 2010

Cronaca di una giornata estiva con amici (o My Speaking Shoes - Wow introspection! 2009)


Capitolo 1: Tupperware. Mi sveglio sudaticcio a metà luglio. Ho puntato la sveglia alle otto perché ho un appuntamento con Camilla, Alessandro, Luca e Matteo. Sono quattro amici simpatici di Sassuolo che mi hanno proposto un picnic in aperta campagna e io non mi tiro indietro se si tratta di “fare qualcosa” a metà luglio di diverso dal piangersi addosso. Dopo un bel giretto parcheggiamo le biciclette, saltiamo un fosso per la lunga e ci ritroviamo in un bucolico giardino di un casolare abbandonato. Stendiamo i teli, accendiamo lo stereo a pile che ha portato Alle e mi fanno sentire la loro ultima canzone. Apriamo i tupperware e cominciamo a mangiare qualcosa di fresco. C’è caldo, penso ai miei amici che ora sono al mare a spassarsela ma in fondo non li sto invidiando per niente. Il sole che filtra tra i rami degli alberi mi sta caricando, c’è una lieve brezza e questa canzone è la sola cosa che vorrei sentire. Ho letto di questi My Speaking Shoes che non sono molto originali e che non hanno carattere ma scommetto che questi recensori non hanno mai fatto un pic nic con loro e non stanno ridendo da un’ora per le cazzate che questi ragazzi sparano. Ma quali influenze? Quale indie? Io mi sto divertendo ed è luglio. Questo ossimoro vale più di qualsiasi recensione.

Capitolo 2: Mushroom head. Luca mi dice che hanno preparato una canzone da farmi sentire ma questa volta dal vivo. Aprono la porta della casa pericolante ed entriamo in una sala prove che dicono di usare ogni tanto. Questo posto decadente a me sembra una paradiso. “Dopo dicci cosa ne pensi” mi fa Camilla “ci piacerebbe presentarla all’Heineken Jammin Festival” e attaccano con Mushroom head. Mi prende sin dalle prime note anche se è sicuramente qualcosa che ho già sentito da qualche parte ma non credo che importi né a me né a loro. Mi chiedo chi sia quella testa di fungo a cui è malignamente dedicata. Mi piace quando Camilla abbassa il suo cantato, lo rende dolce per poi graffiarsi la gola con versi più stridenti. Mi piace soprattutto quando sbaglia impercettibilmente la nota: non sono affatto una band pulita, sono qui per divertirsi non per fare pianobar. Cami lancia un urlo e a me viene voglia di prendere in mano uno strumento e aggiungermi con loro. Provo un po’ di invidia. Matte si lascia a un assolo per niente pretenzioso, semplice, rabbioso ma non gonfiato. “Secondo me all’Heineken ci potete andare senza problemi. Questa canzone è carica e se io potessi vi produrrei, vi farei fare un disco immediatamente. Tu Camilla saresti la nostra Joplin, la nostra Juliette Lewis, la nostra Courtney. Qui a Modena c’è bisogno di musiciste e non di ragazzette in minigonna che abbracciano uno strumento o fanno dieci anni di scuola di canto provando al metronomo Zombie e si reputano punk e alternative”. Questo sfogo me lo potevo risparmiare, ma loro ridono, prendono tutto in ridere e la leggerezza di questa band mi sta aggiustando l’estate.

Capitolo 3: Maddy in the blue box. “La giornata non è finita Sante, abbiamo un’altra sorpresa per te, sali in macchina” dice Luca mentre si materializza una vecchia panda scassata. Non mi vogliono dire la destinazione ma so che stiamo andando verso est. Luca mette su una cassetta (nostalgico supporto magnetico) “Sappiamo delle tue origini grunge e quindi abbiamo pensato di farti sentire questa”. Parte Maddy in the blue box e io mi commuovo. “Grazie amici, questa è la canzone che avrei sempre voluto incidere nella mia adolescenza, ho voglia di pogare, di fare un’invasione di palco e lanciarmi sulla gente coi miei pantaloni strappati e gridare che la vita fa schifo anche se non è vero”. C’è un parlato, c’è un urlo violento e stonato. Se avessi ancora i i capelli lunghi ve la farei vedere io.

Capitolo 4: Vodka Fizz. Dopo due ore ci ritroviamo al mare, era questa la sorpresa che mi volevano fare i miei nuovi amici. Mi portano a un pub sulla spiaggia che fa “serate indie” memorabili, a quanto pare. Cominciamo a bere, offro io, offre Matte, offrono tutti e dopo poco ci accorgiamo che stiamo ridendo del nulla, stiamo ballando come degli ossessi anche le canzoni più orrende che passa questo improbabile dj della riviera. Ogni tanto mi chiedo “Ma cosa ci faccio qui? Come ci sono arrivato?” Penso al settembre che si avvicina e che mi fa paura ma mi offrono un altro vodka lemon e smetto di pensarci subito. Incontriamo anche i mie amici che erano venuti al mare (le coincidenze) e li presento ai My Speaking Shoes. Si beve ancora tutti insieme. La vista mi si annebbia e non capisco cosa accade. Cado accasciato sulla sabbia e sento degli echi come di feedback.

Epilogo: Bugman. Mi risveglio in macchina, è quasi mattina e dalle piccole casse sfondate della panda esce Bugman. Anche questa è una canzone degna di essere prodotta, fa molto Seattle. Batterei il tempo con i piedi e con le mani se avessi ancora un briciolo di forza. Le canzoni che mi hanno fatto sentire finora sono tutti esaltanti e non vedo l’ora di vederli suonare su un palco. Ma forse mi sto sbagliando, forse la stanchezza mi ha tolto la facoltà di giudicare. Forse hanno ragione i re-censori a dire che non è nulla di ché, niente di nuovo. Sarà che ho bevuto, sarà che mi sono sfogato, sarà che la loro intenzione è quella di divertirsi e basta. Forse domattina non li ascolterò più ma ora sono felice e stordito. Il finale sempre più carico e travolgente è l’ultimo guitto di vitalità che sento in cuore, poi mi riaddormento felice.

È un peccato che questa giornata non sia mai esistita e che io non abbia mai conosciuto di persona le Scarpe Parlanti, ma vi assicuro che il loro demo è proprio niente male.


Tracklist:
01 Tupperware
02 Mushroom head
03 Maddy in the blue box
04 Vodka fizz
05 Bugman

lunedì 12 luglio 2010

Water in Face - 13 hours (2006)


Era il 2006 quando Nevruz mi prende da parte e mi dice “ Ora suono in un duo. Io alla batteria e Omid e alla chitarra”. Un duo a Modena? Meglio dedicarsi a qualcosa di più serio. Ma dove pensano di andare questi? Li vedo suonare su uno squallidissimo palco di un anonimo paesino di provincia con sette spettatori davanti (sei, se vogliamo escludere me, e comprendendo l’organizzatore). Ma dove pensano di andare questi? Ancora non lo so ma rimango impietrito davanti a questo muro di suono creato da sei banali corde di chitarra e che esce da un amplificatore da basso gigante, mi sento colpito e quasi schiaffeggiato dai colpi che violentano la batteria. Tutti i gruppi hanno un chitarrista e un batterista, penso, ma nessuno ha questo chitarrista e questo batterista. Era sempre il 2006 quando io e i miei amici rimaniamo estasiati dall’EP 13 hours. Ma cosa sta succedendo? Che si stia creando un buon giro, un piccolo movimento rock? Water in Face, Les Fauves, Zoe Lea, M Twelve, Vina3…eravamo al settimo cielo con le nostre birre, le nostre ore in piedi davanti a concertini esaltanti, le nostre pacche sulle spalle e i nostri “complimenti” al batterista o al cantante di turno. E ci piaceva molto lamentarci e dire che Modena fa schifo, che non c’è niente da sentire. Potevamo permetterci di dirlo finché avevamo sul palco i Water in Face che attaccavano il concerto con Ordinary man. Ora abbiamo imparato a dosare meglio le lamentele, non è il caso di fare i difficili perché il suddetto giro rock è scomparso (ammesso e non concesso che fosse mai esistito) e ora ci teniamo le briciole, ora ci esaltiamo per gruppi mediocri sperando non scompaiano anche loro. Insomma, arriviamo al dunque. Cos’avevano di speciale Omid Kazemijazi e Nevruz Maljoku, a parte i fighissimi nomi che sembrano d’arte ma non sono? Provate a immedesimarvi:
Vi recate a un improbabile localino del modenese e vi aspettate di trovare un gruppetto che fa cover di Liga o se vi va grassa di Hendrix. Siete già rassegnati a Final countdown e Sweet child o’ mine. Sale sul palco un ragazzo dai lineamenti poco italiani, la matita agli occhi, una cravatta rossa infilata nella camicia e una chitarra che maneggia come fosse un basso senza degnarsi di guardarla. Sale un ragazzo dalle spalle larghe, truccato come joker, vestito con una tuta verde, i capelli lunghi e sporchi gli coprono il volto. Il ragazzo con la chitarra, Omid, attacca un ritmo ripetitivo di una nota sola strappato dal migliore robot rock. Nevruz attacca con una batteria monotona e potente, tutto il suo corpo si muove come un ossesso. Hai l’impressione che non abbia mai studiato batteria e hai ragione, ma la cosa ti piace, non hai mai visto una bestia da palco muoversi così. Omid urla, si agita, sul finale fa un sacco di giri su se stesso, una sorta di danza macabra con quella chitarra dalle distorsioni disumane. L’inferno monotono e ossessivo chiamato Ordinary man finisce. Nevruz dalla batteria urla “Do you have a problem?” almeno dieci volte e non capisci cosa stia succedendo. Ti consiglio di rinunciare a capire, goditi solo lo spettacolo. Le sue bacchette violentano il rullante e comincia Mr Bubble cantata dal joker. La voce muse-yorke-nevrotica di Omid fa da sfondo a quella bestiale del nostro Iggy Nevruz. Tu non ti contieni, ti stai muovendo, ti guardi intorno interrogando con lo sguardo i presenti “Hai visto anche tu? Hai visto questi pazzi? E come fai a startene tranquillo? Dobbiamo fare qualcosa” ma nessuno risponde al tuo messaggio. Attaccano le note di Mirror world e pensi che forse potresti esserti sbagliato, ora faranno una canzonetta da poco, una robetta melodica alla Muse. Ti sei sbagliato: c’è melodia, niente di innovativo, ma ti piace. La batteria sta distruggendo la grancassa, ti chiedi se usi il doppio pedale: ma cosa te ne frega, sei qua per fare commenti da metallaro o per rimanere violentato da questi due piscolabili? E comunque no, non lo usa. Se ora sei esaltato e non vedi l’ora di fondare un gruppo così con Schematic scream chissà cosa puoi arrivare a fare. Il ritmo ti agita, ti mette una febbre in corpo che potresti anche fartela addosso senza accorgertene. Omid interpreta la canzone come un pazzo che non vuole essere internato e hai l’impressione che potrebbe fare qualcosa di grave, potrebbe spaccare la chitarra, potrebbe lanciartela in faccia (altro che acqua). Dopo un momento davvero esaltante, prende la parola Nevruz che ruggisce qualche frase (e ti senti in un concerto importante, davvero importante), poi Omid lo sovrasta urlando qualcosa con un acuto che ti sorprende (il ragazzo sa cantare, pensi, sa cantare). La canzone degenera, la batteria sta per crollare in pezzi, dall’amplificatore escono suoni troppo distorti per essere veri (pensi che i coni stiano per cedere, pensi che qualcuno presto arriverà a spegnere tutto, pensi che tutto ciò sia esagerato, e ti piace), Nevruz non sta più seduto, prende pezzi della batteria, li fa cadere, li lancia, salta sulla cassa. Omid si muove come un burattino facendo oscillare la chitarra, è impazzito, pensi. Gira su se stesso come un ossesso, col piede pesta il jack che si stacca (o spacca). Si girano ed escono.
Ti hanno distrutto psicologicamente, hanno ferito gravemente i tuoi timpani, ti hanno sconvolto. Ora il concerto è finito, ti senti quasi abbandonato. Altro che acqua in faccia. Quella sarebbe utile per riprendersi dopo l’apocalisse alla quale hai assistito. Per esempio io, che scrivo a distanza di quattro anni, non mi sono ancora ripreso del tutto.

Tracklist:
01 Ordinary man
02 Mr Bubble
03 Mirror world
04 Schematic scream