domenica 25 luglio 2010

Cronaca di una giornata estiva con amici (o My Speaking Shoes - Wow introspection! 2009)


Capitolo 1: Tupperware. Mi sveglio sudaticcio a metà luglio. Ho puntato la sveglia alle otto perché ho un appuntamento con Camilla, Alessandro, Luca e Matteo. Sono quattro amici simpatici di Sassuolo che mi hanno proposto un picnic in aperta campagna e io non mi tiro indietro se si tratta di “fare qualcosa” a metà luglio di diverso dal piangersi addosso. Dopo un bel giretto parcheggiamo le biciclette, saltiamo un fosso per la lunga e ci ritroviamo in un bucolico giardino di un casolare abbandonato. Stendiamo i teli, accendiamo lo stereo a pile che ha portato Alle e mi fanno sentire la loro ultima canzone. Apriamo i tupperware e cominciamo a mangiare qualcosa di fresco. C’è caldo, penso ai miei amici che ora sono al mare a spassarsela ma in fondo non li sto invidiando per niente. Il sole che filtra tra i rami degli alberi mi sta caricando, c’è una lieve brezza e questa canzone è la sola cosa che vorrei sentire. Ho letto di questi My Speaking Shoes che non sono molto originali e che non hanno carattere ma scommetto che questi recensori non hanno mai fatto un pic nic con loro e non stanno ridendo da un’ora per le cazzate che questi ragazzi sparano. Ma quali influenze? Quale indie? Io mi sto divertendo ed è luglio. Questo ossimoro vale più di qualsiasi recensione.

Capitolo 2: Mushroom head. Luca mi dice che hanno preparato una canzone da farmi sentire ma questa volta dal vivo. Aprono la porta della casa pericolante ed entriamo in una sala prove che dicono di usare ogni tanto. Questo posto decadente a me sembra una paradiso. “Dopo dicci cosa ne pensi” mi fa Camilla “ci piacerebbe presentarla all’Heineken Jammin Festival” e attaccano con Mushroom head. Mi prende sin dalle prime note anche se è sicuramente qualcosa che ho già sentito da qualche parte ma non credo che importi né a me né a loro. Mi chiedo chi sia quella testa di fungo a cui è malignamente dedicata. Mi piace quando Camilla abbassa il suo cantato, lo rende dolce per poi graffiarsi la gola con versi più stridenti. Mi piace soprattutto quando sbaglia impercettibilmente la nota: non sono affatto una band pulita, sono qui per divertirsi non per fare pianobar. Cami lancia un urlo e a me viene voglia di prendere in mano uno strumento e aggiungermi con loro. Provo un po’ di invidia. Matte si lascia a un assolo per niente pretenzioso, semplice, rabbioso ma non gonfiato. “Secondo me all’Heineken ci potete andare senza problemi. Questa canzone è carica e se io potessi vi produrrei, vi farei fare un disco immediatamente. Tu Camilla saresti la nostra Joplin, la nostra Juliette Lewis, la nostra Courtney. Qui a Modena c’è bisogno di musiciste e non di ragazzette in minigonna che abbracciano uno strumento o fanno dieci anni di scuola di canto provando al metronomo Zombie e si reputano punk e alternative”. Questo sfogo me lo potevo risparmiare, ma loro ridono, prendono tutto in ridere e la leggerezza di questa band mi sta aggiustando l’estate.

Capitolo 3: Maddy in the blue box. “La giornata non è finita Sante, abbiamo un’altra sorpresa per te, sali in macchina” dice Luca mentre si materializza una vecchia panda scassata. Non mi vogliono dire la destinazione ma so che stiamo andando verso est. Luca mette su una cassetta (nostalgico supporto magnetico) “Sappiamo delle tue origini grunge e quindi abbiamo pensato di farti sentire questa”. Parte Maddy in the blue box e io mi commuovo. “Grazie amici, questa è la canzone che avrei sempre voluto incidere nella mia adolescenza, ho voglia di pogare, di fare un’invasione di palco e lanciarmi sulla gente coi miei pantaloni strappati e gridare che la vita fa schifo anche se non è vero”. C’è un parlato, c’è un urlo violento e stonato. Se avessi ancora i i capelli lunghi ve la farei vedere io.

Capitolo 4: Vodka Fizz. Dopo due ore ci ritroviamo al mare, era questa la sorpresa che mi volevano fare i miei nuovi amici. Mi portano a un pub sulla spiaggia che fa “serate indie” memorabili, a quanto pare. Cominciamo a bere, offro io, offre Matte, offrono tutti e dopo poco ci accorgiamo che stiamo ridendo del nulla, stiamo ballando come degli ossessi anche le canzoni più orrende che passa questo improbabile dj della riviera. Ogni tanto mi chiedo “Ma cosa ci faccio qui? Come ci sono arrivato?” Penso al settembre che si avvicina e che mi fa paura ma mi offrono un altro vodka lemon e smetto di pensarci subito. Incontriamo anche i mie amici che erano venuti al mare (le coincidenze) e li presento ai My Speaking Shoes. Si beve ancora tutti insieme. La vista mi si annebbia e non capisco cosa accade. Cado accasciato sulla sabbia e sento degli echi come di feedback.

Epilogo: Bugman. Mi risveglio in macchina, è quasi mattina e dalle piccole casse sfondate della panda esce Bugman. Anche questa è una canzone degna di essere prodotta, fa molto Seattle. Batterei il tempo con i piedi e con le mani se avessi ancora un briciolo di forza. Le canzoni che mi hanno fatto sentire finora sono tutti esaltanti e non vedo l’ora di vederli suonare su un palco. Ma forse mi sto sbagliando, forse la stanchezza mi ha tolto la facoltà di giudicare. Forse hanno ragione i re-censori a dire che non è nulla di ché, niente di nuovo. Sarà che ho bevuto, sarà che mi sono sfogato, sarà che la loro intenzione è quella di divertirsi e basta. Forse domattina non li ascolterò più ma ora sono felice e stordito. Il finale sempre più carico e travolgente è l’ultimo guitto di vitalità che sento in cuore, poi mi riaddormento felice.

È un peccato che questa giornata non sia mai esistita e che io non abbia mai conosciuto di persona le Scarpe Parlanti, ma vi assicuro che il loro demo è proprio niente male.


Tracklist:
01 Tupperware
02 Mushroom head
03 Maddy in the blue box
04 Vodka fizz
05 Bugman

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