mercoledì 25 agosto 2010

Smegma - L'isola di Ciacciaciuccia (Dischi del culo - 1996)

Ho sempre pensato che i Superciuk imitassero i Lomas e che gli Smegma imitassero i Superciuk. In realtà sono tre realtà indipendenti e diverse ma se dovessi trovarmi di fronte il diavolo che mi dice “appiccica l’etichetta di ‘imitatore’ a uno di questi tre gruppi o ti getto nella Geenna dove sarà pianto e stridore di denti”, bé in quel caso l’appiccicherei agli Smegma. Ma ci sono alcune precisazioni che dovrei fare a Lucifero, altrimenti la recensione sarebbe viziata da incompletezza di informazione.
Sento i Superciuk e i Lomas e penso a quel punk che pure nella sua ironia (non proprio demenzialità) mi ha dato qualcosa di concreto nella mia vita. Se vedo uno scout in giro per strada inizio a gridare nella mia testa “Uh, alele ciketonga!” (vedi Superciuk). Se devo decidermi a chi dare il mio voto penso alla fetta di salame (vedi Paolino). Se sto andando all’ipercoop penso a William Garuti e mi ricordo di fermarmi allo stop (vedi Lomas). Questo è in definitiva ciò che amo del punk di questa città. Qundo devi fare gli auguri a qualcuno devi per forza dirgli “Lui diceva di esser nato proprio quel giorno lì” (vedi ancora Lomas) come se esistesse un verso di una loro canzone per ogni momento della vita. Questo è ciò che amo più ed è anche ciò che manca agli Smegma. Se mi ferma un vigile penso a quello “modestamente urbano” della Paolino piuttosto che al “porco” smegmiano (canzone però, Porci, da non sottovalutare con quei pregevoli assoli di grugnito suino). Egidio è un personaggio fantozziano che tenta invano il suicidio per poter apparire in tv. La ascolto e proprio quando mi sta per piacere penso subito a Franco, a Carlo Luppi e a Rocco Cinghiale (o al limite all’omonimo Egidio dei Superciuk) e questi sì che mi sembrano personaggi reali, dei veri e propri sfigati. Sono persone che abbiamo visto mille volte, forse siamo proprio noi. Anche quando gli Smegma tentano nuovi approcci al punk passando per qualche giro di chitarra più sudamericano non arrivano a Silvana né ai brasilianismi dei Lomas. La tromba, onnipresente più di qualsiasi altro strumento e perennemente in primo piano è la tipica tromba ska-punk mentre i fiati dei Superciuk sono usati molto sapientemente, non disturbano e spesso scompaiono per valorizzare il resto della band. Qui la tromba è spaventosamente anni 90 (è la trombetta che sentivo al Tempo, appena prima del brufoloso momento del pogo, quando parlando di ska intendevamo i Punkreas e non gli Skatalites, Aitken o gli Specials), ma del resto siamo proprio nel 96.
Ma al diavolo non dovevo spezzare qualche lancia in favore degli Smegma? Eccole:
1 I ritornelli sono quasi sempre azzeccati: Egidio, Rocci, Puttaniere, Il virus. Sono da urlare sotto il palco in elevato stato alcolico.
2 Rocci è la perla dell’album “Gli Smegma suonan meglio e son più belli dei Take That. I nuovi Beatles siamo noi ma i vostri fans sarete voi, noi vogliamo dire che vi faremo un bel toc toc, ambarabaciccicoccò”
3 Porci è un funky poliziottesco anni 70 niente male. La colonna sonora di un ipotetico Modena Calibro 9.
4 Il titolo (L’isola di Ciacciaciuccia) e la copertina fatta dal trombettista Moco meritano veramente. Nobilitano il tutto. Mi hanno esaltato prima ancora di sentire il cd.
5 La registrazione è opera di Termos e l'album è marchiato “Dischi del culo”. Anche questo è ammirevole.

Forse non saranno nulla di nuovo ma non penso che a loro freghi qualcosa. Il diavolo mi ha costretto a parlare sinceramente e io l’ho fatto ma un po’ mi dispiace che per colpa mia forse Satana non si ascolterà mai gli Smegma. In fondo mi hanno divertito, mi hanno coinvolto con il loro fancazzismo. Se dovessero tornare su qualche palco sicuramente correrei a vederli. E poi, al diavolo che farà tante storie per non ascoltarli, loro risponderebbero “Cantiam queste canzoni perché siamo dei cafoni , siamo gli idoli indiscussi in un paese di musoni, più la gente si lamenta più cantiamo con demenza”
Dopo una frase così dimentico ogni remora e sbarco anch’io sull’isola di Ciacciaciuccia.

Tracklist:
01 Egidio
02 Rocci
03 Do it
04 Porci
05 Berluska
06 Puttaniere
07 Il virus ciacciaciuccia
08 Cambiati la faccia
09 Filosofia



mercoledì 11 agosto 2010

Attivisti! - C'avevo l'amarezza (2009)

La recensione che segue è stata scritta da Andrea, un amico di Parma grande amante della Paolino. Lo ringraziamo e vi invitiamo a sfogliare il suo blog L'immagine allo specchio.


Sto cercando il giusto modo per raccontarvi di cinque ragazzi di provincia. Non voglio però dover ricorrere a frasi retoriche da recensione consumata. Voglio semplicemente riferirvi di una realtà che ora c’è e ora non c’è, che esce di tanto in tanto allo scoperto e poi si dilegua, perché le sta bene così. Mi riferisco agli Attivisti!, gruppo della scena underground (?) modenese – il punto di domanda è doveroso perché non sono poi così sicuro che le band modenesi se ne stiano tutto il tempo a suonare sui binari abbandonati della metropolitana. A parte le interessanti melodie dei brani, è sul loro lato letterario che mi vorrei soffermare. Nei testi di C’avevo l’amarezza (album d'esordio, 2009) ciò che si percepisce immediatamente è la costante presenza della provincia. Una provincia ancora intesa come habitat da vivere senza imbarazzi – non è di certo avvertita come una zona defilata rispetto al resto del mondo – e da descrivere senza esitazioni. Ed è così che: la periferia diventa centro; senza provincia non può esistere metropoli. Modena diventa quindi il teatro ideale per un film di Castellari: «La polizia incrimina e la legge assolve/ La polizia ti elimina e la legge assolve/ Ma se corrompi i vertici in un lampo si dissolve/ E in centro sotto i portici il male cresce, evolve» (Attivisti In Da Hauz). I problemi delle grandi città sono gli stessi della provincia e, allo stesso tempo, le contraddizioni di una piccola cittadina vengono documentate dalla difficile convivenza creata dall’incontro tra elementi propri del consumismo e prodotti della tradizione: «Gnocco fritto marcio ai bordi della strada/ Ma tu gli hai dato un calcio con le tue fottute Prada» (Attivisti In Da Hauz). Sarà forse per colpa di questi paradossi che gli animi sensibili modenesi sono costretti a viaggiare con l’immaginazione al fine di elaborare un’allucinazione credibile. Come pensare che lo scioglimento dei ghiacci possa essere un’opportunità da sfruttare più che una catastrofe: «Ma che caldo fa nel centro di questa città/ Non c’era anni fa, sarà colpa del gas/ Mentre quelli al mare non hanno le zanzare/ Non hanno più lo smog, non strippano sul blog/ […] Ma loro non sanno che i poli si scioglieranno/ Modena beach già ti vedo bagnata dal mare/ Modena beach sei il mio ideale, il più balneare» (Modena Beach). O, forse, più probabilmente, questi potrebbero essere stati gli impensati effetti del caldo uniti ad una "sbronza di mezza estate": «Qui Modena è un deserto, un forno a cielo aperto/ Mi armo di turbante ed esco senza scarpe/ La mia cammella è stanca e sviene su una panca/ Arranco in piazza Grande, mi tolgo le mutande/ È l’ora, me lo sento, ma il mare si sta alzando/ Già sento l’onda anomala, la piazza che si popola» (Modena Beach). Modena città balneare, Modena città universale. La dimensione europea viene ripresa e subito rifiutata e rigettata, quasi come se fosse una realtà troppo stretta per la dirompente creatività della provincia. Meglio essere cittadini del mondo, troppo corrotto e globalizzato, però, per poterci ritrovare la purezza di un tempo: «Siamo europei che non vuol dire proprio niente/ La sola cosa che vorrei è smarrirmi tra la gente/ E fuggir con te in un McDonald di Beirut» (Evropa). Ma vale la pena perdersi tra gli abitanti di una città esotica, quando nella provincia trovi di tutto? Per gli Attivisti! la risposta è immediata: «No!». No perché la fauna di provincia è sicuramente più interessante. Betty, ad esempio, «parla a una cagna di marmo in giardino/ Veste molto anni 80/ Odia il trattore del suo vicino/ […] Ama molto i bisonti/ Si copre di pelli e ne imita il verso al mattino» (Betty); Prana, invece, ama un’auto – una Renault Twingo che, storpiata dall’influenza dialettale, diventa Tuingo – e per questo fa dell’auto-erotismo: «Prana Prana dimmi perché/ La tuingaccia fa proprio per te/ […] Consuma poco e ti diverti assai/ Ho trovato l’amore vero/ Una tuingo di colore nero» (Prana fell in love with my Tuingo). Ma la fauna di provincia diventa anche protagonista di un – e non poteva certo mancare – inno generazionale, vero e proprio manifesto programmatico per le nuove generazioni affidato alla costruzione anaforica di Non ho mai visto Venezia: «[…] non ho mai letto Dan Brown/ non sono incline allo snowboard/ non ho mai fatto il check-sound»; e ancora: «Non riesco a fare il sudoku/ non digerisco l'indie rock/ […] non riesco ad aprirmi un blog/ […]non ho capito Van Gogh/ […] Dovrei andare a Venezia/ (per il carnevale)/ Ma sono stato a La Spezia (niente d'eccezionale)».

Un tarlo abita la mia scatola cranica e lavora incessantemente sul mio cervello mordicchiandolo, bucherellandolo, trapassandolo da parte a parte. A questo tarlo non manca niente: è ritmo, è parola. Questo tarlo sono gli Attivisti!

P.s. Non tutti sono stati a Venezia. Ma chi non è mai stato a La Spezia?!

Tracklist:
01 Mirandola
02 Autovelox
03 Evropa
04 Betty
05 Non si esce fiki dagli anni 80
06 Piero Angela
07 Non ho mai visto Venezia
08 Prana fell in love with my tuingo
09 Siluro

10 Modena beach