Il nome del gruppo imanda quasi immediatamente ad esperienze desertiche nelle grandi pianure del continente americano ma fin dal primo ascolto ci si accorge di essere di fronte qualcosa che poco ha a che fare con, ad esempio, lunghe jam psichedeliche (anche se i Peyota non disdegnano atmosfere stoner). È necessario invece spostarsi, più a nord, nell' estremo nord-ovest degli Stati Uniti, più precisamente a Seattle. I tre brani prendono le mosse infatti dal grunge dei Pearl Jam, quel suono che ha trovato poi varie dimensioni nel corso degli anni novanta fino ai giorni nostri. La declinazione che ne danno i Peyota è in lingua italica, influenzata nei testi da Verdena e nel cantato dai Timoria di Renga. “Cavalcate” a suon di potenti riff e ritmiche che inchiodano sono gli elementi che caratterizzano poi le sonorità del gruppo. Quello che colpisce è infatti la compattezza del suono che il trio propone; le radici dei Peyota affondano insomma nella solida terra. Mi torna alla mente la copertina di quell' album degli Staind con un albero e una tempesta sullo sfondo. Il rock dei Peyota mi ricorda precisamente quell' albero: pronto alla tempesta e alle peggiori intemperie, pronto a piegarsi “contro vento” , ma il giorno dopo, quando tutto si è calmato, ancora lì.
1-Indigena
2-Caos
3-Contro vento
www.myspace.com/peyota03